Oratorio batte razzismo 3-0


DOPO I CORI DI BUSTO ARSIZIO / PRENDETE YASSINE, MUSULMANO E CAFFELLATTE...
Oratorio batte razzismo 3 a 0

Yassine (nome di fantasia) ha una gran schiacciata: potrebbe diventare un campioncino. Quando vince, alza le braccia e guarda al cielo: come se fosse allo stadio. I compagni accusano la sfortuna, si spintonano, dicono che la sua racchetta è migliore, chiedono un altro set. Yassine si schermisce, torna in posizione, i suoi lineamenti caffellatte si fanno attenti, gli occhi, nerissimi, viaggiano più lesti della pallina: la butta dentro e vince ancora. Ricomincia la discussione, ma al fondo gli altri sanno che è il più forte.
Ogni sera uguale, nello stanzone d’un oratorio di Novara: una sfida continua, mentre intorno decine di altri ragazzi giocano a calciobalilla, si scambiano battute al bancone del bar, escono a dare due calci al pallone, rientrano e tornano a chiacchierare. Pare un formicaio, un viavai pieno di vita, con le bambine che fanno crocchio, piccole donne in una dimensione già diversa rispetto ai maschi. Il fatto che Yassine abbia la pelle d’un altro colore e sia musulmano, non importa a nessuno: come lui, ce ne sono molti altri, che ridono e scherzano. Importa, invece, che a tennistavolo è bravo. Succede, non perché l’oratorio sia frequentato da angioletti, ma perché, quando si trascorre del tempo insieme, si socializza e ci si diverte, quelle che chiamiamo differenze, svaniscono. Non è mai venuto in mente, a loro che perdono, di apostrofare Yassine perché “negro”: nemmeno quando ne vince sette di fila. E non per obbedienza al prete, che sta a sbrigare altre faccende: semplicemente, perché crescono insieme.

Fra gli ultras, o annidati nelle curve dove esplode il tifo più scomposto, forse c’è gente che non ha mai sperimentato percorsi in oratorio. Vengono in mente le parole di Marco Moschini, direttore del corso per animatori all’Università di Perugia: “Notoriamente, l’oratorio è posto scacio (a Perugia, significa mediocre: ndr) dove, se va bene, c’è il baretto coi mobili anni Settanta e il caffè costa 50 centesimi. Ma a renderlo bello è la vicinanza, l’esserci e l’accontentarsi del poco che offre. Chi l’ha detto che i ragazzini si divertono solo con le playstation? Una castagnata apparirà banale, ma è uno di quei piccoli segni di vita da cui germoglia la felicità”.
Non è l’unico luogo, l’oratorio, dove fare esperienze di felicità: ma è il più diffuso, il più abbordabile, quello dove nessuno ti chiede chi sei e da dove vieni. È un fatto d’integrazione: non quella teorizzata dai buonisti, da chi ama parlare senza sporcarsi le mani; è integrazione incarnata nella quotidianità, che sviluppa valori e riferimenti, e che, se ti porta allo stadio di Busto Arsizio il pomeriggio d’un 3 gennaio qualunque, ti fa guardare ai protagonisti dei cori contro Kevin Prince Boateng come a dei marziani.




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